ANDREA VENTURA. GAM GALLERIA D’ARTE MODERNA MILANO, 2019
UN PENSIERO NON DELL’ESSENZA, MA DELL’ESISTENZA.
Il metodo e lo stile con cui Andrea Ventura affronta il pensiero della pittura non sono quelli dell’artista che descrive il suo oggetto inserendolo nel proprio contesto perché lo considera compiuto e finito, cioè morto. La prospettiva di Andrea Ventura è piuttosto quella di chi vede nella pittura «non un fatto compiuto ma un atto» (come direbbe Gilles Deleuze), a cui ci si può accostare solo con la pretesa di prolungarne la linea della vita. Le opere che compongono questa serie mostrano un’atmosfera inconsueta: l’affermazione metafisica, l’immanenza, l’univocità del reale, l’uguaglianza di tutte le cose, l’anarchia contro l’immagine. In realtà quella che Andrea Ventura dipinge è un’immagine del pensiero, un pensiero capace di liberarsi da presupposti oggettivi, opinioni, cliché, un pensiero capace di dar vita a un progetto che tende ad affermare il carattere imprevedibile di ciò che accade.
L’idea dell’arte di Andrea Ventura è un pensiero non della potenza, ma dell’atto, non dell’essenza, ma dell’esistenza. Una ricerca dell’immagine perduta, in cui il tempo e la visione si fondono in un delicato tentativo di sfogliare un album di percezioni visive: quella di Andrea Ventura sembra un’indagine sulla pittura delle “cose basse”, ossia la raffigurazione non dell’universale, ma del particolare, del dettaglio di una pera, della zucca o dell’osso, di una banana e di un pennello da barba. La realtà è il vuoto e Andrea satura lo spazio e ne costituisce le interazioni sceniche dipingendo l’attimo gelido e disarmante di un insieme di oggetti quasi animati, come a volerne decidere un destino, un insieme di forzate aggregazioni in cui gli oggetti assumono un misterioso ruolo e dove le dimensioni di durata e istantaneità vengono a coincidere nel confine di una narrazione domestica e contemporaneamente estranea.
Già nella pittura metafisica si era iniziato a separare l’oggetto dal suo significato comune e a investirlo di una valenza simbolica, coinvolto in un progetto estraneo alla propria natura, e così anche gli oggetti dipinti da Andrea, accompagnati da scritte a mò di appunto o forse anche di titoli (Ribelli, Mercenari, Nessuno è innocente, The fake teeth of Robespierre, Campo di battaglia, Lupo solitario, Gruppo di disertori, Non fate prigionieri) sembrano presentare l’eclisse stessa degli oggetti, in un silenzio ingombrante di storie costruite intorno al vuoto di inquadrature dirette che colgono sospensioni di immagini in quei punti di vista insoliti che sfuggono alla “storia”.
Così molte delle opere di Andrea Ventura, in parte qui esposte, ci appaiono anche come un inedito flashback dell’estetica punk: visioni anarchiche, dirompenti e distopiche, quasi come un excursus su una certa visione e su quelli che sono i suoi motivi iconici. Inediti patchworkcromatici, motivi floreali e motivi animalier in un’estetica da melting pot. Amante delle incongruenze e del caso, Andrea Ventura delinea in queste nature morte uno stile irruento e istintivo: i suoi oggetti sono spesso inseriti in un caos, in cui gli oggetti ci appaiono sull’orlo dell’incoerenza o del collasso. Accanto alle sue più note illustrazioni, questa sua nuova produzione vira ulteriormente verso una pittura sempre più colta e consapevole dei propri mezzi, in cui le matrici sorpassano l’ambito della citazione per divenire vero e proprio stile, linguaggio. I suoi dipinti fanno esplodere la lezione novecentesca, filtrata ovviamente dal linguaggio contemporaneo, in un mondo surreale di colori e segni, rendendo visibile un’ulteriore trasformazione verso la cultura visionaria dell’età contemporanea.
Francesca Alfano Miglietti