WE COME AS FRIENDS. NONOSTANTEMARRAS, MILANO,2018.
CURATED BY FRANCESCA ALFANO MIGLIETTI.
“(…) Osservate la natura morta olandese: l’oggetto non è mai solo, mai privilegiato: sta lì e basta, in mezzo a tanti altri, colto giusto nell’intervallo fra il momento in cui è stato usato e quello in cui lo sarà nuovamente, fa parte integrante di un disordine provocato dai movimenti di qualcuno, che prima l’ha preso e poi l’ha posato, in una parola: l’ha utilizzato. Ci sono oggetti su ogni superficie, sui tavoli, alle pareti, per terra: vasi, boccali rovesciati, canestri in disordine, ortaggi, cacciagione, scodelle, gusci di ostriche, bicchieri, culle. Questo è lo spazio dell’uomo, che vi si misura e determina la propria umanità a partire dal ricordo dei gesti compiuti; il tempo è scandito dall’uso delle cose, l’unica autorità della vita è quella che l’uomo imprime a ciò che è inerte, modellandolo e manipolandolo.”
Roland Barthes, Saggi critici
Nel 1969 Barthes pubblica, sui ‘Cahiers du cinéma’, uno dei saggi semiologici più importanti: Le troisième sens. Il terzo senso, per Barthes, è un senso misterioso e sfuggente: letto, codificato ma puntualmente in eterna fuga. Questo particolare senso viene definito da Barthes obtus. Esso ha la caratteristica di vivere fuori dal sapere, è il lato del testo ove si confondono il futile e il posticcio: tratti che compongono l’essenza dell’immagine sull’immagine. Il senso obtus avrebbe, dunque, qualcosa che lo associa al travestimento; esso rappresenta la ribellione della parola, una non-definizione, una mancanza. Ma questa non-definizione, questa ‘mancanza’ di senso, possiede un alto valore simbolico-esistenziale.
Il metodo e lo stile con cui Andrea Ventura affronta il pensiero della pittura non sono quelli del pittore che descrive il suo oggetto inserendolo nel proprio contesto perché lo considera compiuto e finito, cioè morto. La prospettiva di Andrea Ventura è piuttosto quella di chi vede nella pittura “non un fatto compiuto ma un atto” (come direbbe Gilles Deleuze), a cui ci si può accostare solo con la pretesa di prolungarne la linea della vita. Le opere che compongono questa serie mostrano un’atmosfera inconsueta: l’affermazione metafisica, l’immanenza, l’univocità del reale, l’uguaglianza di tutte le cose, l’anarchia contro l’immagine. In realtà quella che Andrea Ventura dipinge è un’immagine del pensiero, un pensiero capace di liberarsi da presupposti oggettivi, opinioni, cliché, un pensiero capace di dar vita a un progetto che tende ad affermare il carattere imprevedibile di ciò che accade.
L’idea dell’arte di Andrea Ventura è un pensiero non della potenza, ma dell’atto, non dell’essenza, ma dell’esistenza. Una ricerca dell’immagine perduta, il tempo e la visione si fondono in un delicato tentativo di sfogliare un album di visioni, quella di questa serie di Andrea Ventura sembra una ricerca sulla pittura delle ‘cose basse’, ossia la raffigurazione non dell’universale, ma del particolare, del dettaglio di una pera, della zucca o dell’osso, di una banana e di un pennello da barba. Nel Seicento la natura morta, affermatasi già all’inizio del secolo come genere artistico autonomo nei Paesi Bassi e in Italia, conosce un rapido e originale sviluppo in gran parte d’Europa. Vi si dedicano artisti specializzati, ma anche Caravaggio, Rembrandt, Zurbarán, per fare solo alcuni nomi. E nature morte sono quelle di questa serie di Andrea Ventura, in una visione che sceglie il sottotono e l’evanescenza temporale, ma in un codice espressivo frontale, stranito, alieno… un “punto di vista limitato”, in una narrazione definita in termini cromatici e spaziali. La realtà è il vuoto e Andrea satura lo spazio e ne costituisce le interazioni sceniche dipingendo l’attimo gelido e disarmante di un insieme di oggetti quasi animati, come a volerne decidere un destino, un insieme di forzate aggregazioni in cui gli oggetti assumono un misterioso ruolo e dove le dimensioni di durata e istantaneità vengono a coincidere nel confine di una narrazione domestica e contemporaneamente estranea. Già nella pittura metafisica si era iniziato a separare l’oggetto dal suo significato comune e a investirlo di una valenza simbolica, coinvolto in un progetto estraneo alla propria natura, e così anche gli oggetti dipinti da Andrea, accompagnati da scritte a mò di appunto o forse anche di titoli (Ribelli, Mercenari, Nessuno è innocente,The fake teeth of Robespierre, Campo di battaglia, Lupo solitario, Gruppo di disertori, Non fate prigionieri, etc.) sembrano presentare l’eclisse stessa degli oggetti, in un silenzio ingombrante di storie costruite intorno al vuoto di inquadrature dirette che colgono sospensioni di immagini in quei punti di vista insoliti che sfuggono alla “storia”. Nei ‘Pensieri’ di Blaise Pascal si legge: “Quelle volte in cui mi sono messo a considerare le diverse forme d'inquietudine degli uomini, i pericoli e i dolori a cui si espongono, a corte, in guerra, e da cui sorgono tante liti, passioni, imprese audaci e spesso malvagie, mi sono detto che tutta l'infelicità degli uomini viene da una sola cosa, non sapersene stare in pace in una camera.”, e si ha l’impressione che forse il segreto degli artisti è proprio questo, la capacità di sapere stare in pace in una stanza.
Un’eliminazione dei particolari, una generica essenzialità che sottrae figure e cose all’imitazione naturalistica, disegnandole in una forma ideale, mentale. Ogni opera di Andrea Ventura nasce proprio da una drastica e potente compendiarietà delle forme come partizioni spaziali non disegnate ma ritagliate nella materia pittorica che si riallacciano alla tradizione della pittura novecentista, quello che Ventura dipinge non ha nulla di naturalistico nel senso ottocentesco del termine, la sua è una geometria approssimativa che non si limita all’impressione dello sguardo ma costruisce idealmente e in forme semplificate oggetti e elementi della sua composizione visionaria. La scoperta dell’ordine è forma “moderna” di adesione alla tradizione, mediante una ricerca estetica che tende all’aspirazione etica.
Ma tutte le opere di Andrea Ventura di questa serie ci appaiono anche come un inedito flashback dell’estetica punk: visioni anarchiche, dirompenti e distopiche, quasi come un excursus su una visone punk e su quelli che sono i suoi motivi iconici: inediti patchwork cromatici, motivi floreali e motivi animalier in un’estetica da melting pot. Amante delle incongruenze e del caso, Andrea Ventura delinea in queste nature morte uno stile irruento e istintivo: i suoi oggetti sono spesso inseriti in un caos in cui il controllo ha abbandonato il campo , e in cui gli oggetti ci appaiono sull’orlo dell’incoerenza o del collasso.
Accanto alle sue più note illustrazioni, questa sua nuova produzione vira ulteriormente verso una pittura sempre più colta e consapevole dei propri mezzi, in cui le matrici sorpassano l’ambito della citazione per divenire vero e proprio stile, linguaggio. I suoi dipinti fanno esplodere la lezione novecentesca, filtrata ovviamente dal linguaggio contemporaneo, in un mondo surreale di colori e segni, e rende visibile un’ulteriore trasformazione verso la cultura visionaria contemporanea. Un progetto originale e intrigante, che ribadisce un’origine colta, ma lontano da ogni deja-vù.
Francesca Alfano Miglietti